Era il 18 maggio 1988 quando lo storico volto della trasmissione “Portobello”, Enzo Tortora, morì per un tumore, un anno dopo aver ricevuto quella tanta agognata assoluzione per dei reati di cui, in realtà, non si era mai macchiato.
Il venerdì 17 giugno del 1983, Tortora viene arrestato alle 4 del mattino, trascinato fuori dalla sua casa in manette dai Carabinieri di Roma, con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico.
Sotto gli occhi di tutto il popolo italiano, si stava per consumare quella che sarebbe diventata una delle pagine più nere della “malagiustizia” italiana. Un uomo innocente finito in carcere perché ingiustamente giudicato dal sistema e condannato senza un processo.
A condannare il conduttore televisivo, delle dichiarazioni rilasciate da alcuni pregiudicati, Giovanni Pandico, Giovanni Melluso e Pasquale Barra, legati al clan di Raffaele Cutolo e delle prove, un nome su un’agendina del boss e un numero di telefono.
Tre lunghissimi anni sono passati prima che Enzo Tortora potesse ricevere l’assoluzione con formula piena dal processo di Appello il 15 settembre 1986.
Tre lunghissimi anni sono passati prima che si scoprisse che quel nome sull’agendina del boss in realtà era “Tortosa” e non “Tortora” e che quel numero di telefono non aveva nulla a che fare con lui. Semplicemente era stato commesso uno sbaglio, un banale errore giudiziario…
Nel frattempo, però, il mondo intero lo aveva già condannato a vita: il paese si è accanito su di lui, la stampa lo ha distrutto, rendendolo protagonista principale di vignette satiriche e sbeffeggiamenti vari, telegiornali e cronache non hanno fatto altro che rivivere minuto per minuto i momenti del suo arresto.
E quel che è ancora più vergognoso è che tutto il “caso Tortora”, in realtà, affonda le sue radici in uno dei periodi più bui dell’Italia di quegli anni: il rapimento dell’assessore all’urbanistica della Regione Campania, il democristiano Ciro Cirillo da parte delle Brigate Rosse di Giovanni Senzani, e la conseguente, vera, trattativa tra Stato, terroristi e camorra di Raffaele Cutolo.
Solo che Tortora era un uomo perbene, vittima di un sistema di giustizia ingiusto, vittima di uno sbaglio per cui non pagherà mai nessuno.
“Io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi; sarò qui, resterò qui, anche per loro”, queste le parole del conduttore che cercò di far trionfare la giustizia in un sistema ormai corrotto.