L’azione della Procura della Corte dei conti contro di me, unitamente agli altri 9 chiamati in giudizio, non è conseguenza di un’ azione penale e tantomeno, quindi, di condanna penale. Le persone pensano, almeno la maggior parte, influenzate dalle cronache spesso fuorvianti, che la condanna al pagamento dell’amministratore è la conseguenza di una sottrazione e/o di una appropriazione, della somma medesima, da questi operata.
Per dirlo in termini netti, la Sentenza e ancor prima la Procura della Corte dei Conti non hanno detto che io e/o gli altri Assessori e Dirigenti, chiamati in giudizio e condannati, nel caso giudiziario che mi riguarda, ci siamo appropriati di denaro pubblico. Se così fosse saremmo stati condannati anche con sentenza penale. Ma come si legge negli atti che qui pubblico, mai è stata iniziato alcun processo penale per i fatti posti a fondamento della condanna pronunciata dalla Corte dei conti, ancorché furono svolte delle lunghe ed approfondite indagini.
Nel concreto sono stato condannato perché ho riconosciuto gli arretrati contrattuali ai lavoratori della formazione professionale, e, perché ho riconosciuto che i maggiori costi relativi alla voce “ personale” derivanti dall’espletamento dei corsi, già svolti e rendicontati, andavano riconosciuti così come era stato fatto da sempre. In particolare tali costi erano stati sempre rimborsati, dal lontano 1976, e non solo in Sicilia ma in tutta Italia. In Sicilia, addirittura dal 2005 in poi, vennero implicitamente considerati dei veri e propri diritti, sganciati da ogni valutazione discrezionale della Regione che avrebbe dovuto solo controllarne la legittimità nell’ammontare attraverso la rendicontazione. La Sezione di Controllo della Corte dei Conti, infatti, aveva apposto il Visto di legittimità a ciascuno dei provvedimenti di erogazione per costi aggiuntivi relativi alla voce personale che le erano stati sottoposti. Nessuno dei visti di legittimità sugli atti, richiesti dagli uffici dal Dipartimento della Formazione Professionale della Regione Siciliana all’Ufficio di Sorveglianza sulla legittimità degli atti della Regione Siciliana istituito presso la Corte dei conti e presieduto da un Magistrato contabile, con i quali erano state disposte integrazioni ai fondi inizialmente assegnati, approvati e destinati per la voce personale, era stato mai ricusato.
A questo punto del ragionamento chi legge, o chi ascolta, potrebbe formulare maliziose ipotesi (anche per tentare di giustificare la decisione dei Magistrati di ignorare quello che era accaduto fino ad allora e cambiando rotta emettere una sentenza così pesante) del tipo: “ vabbè magari volevi fare o avallare clientelismo”.
Anche su questo pregiudizio, desidero intervenire ed invito chi legge a riflettere su ciò che in concreto accade nella realtà: quando un corso di formazione viene programmato ed approvato, così come per qualsiasi modulo di insegnamento, nessuno è in grado di sapere in anticipo quanti giorni di ferie, malattie, permessi, congedi per gravidanze, matrimoni, ecc. ecc. saranno chiesti dal personale docente e/o ausiliario. Per ogni giorno di congedo, o altro, il lavoratore dipendente ha diritto (grazie alle sacrosante conquiste sociali) alla remunerazione. Anche l’insegnante o l’ausiliario che sostituisce il dipendente in ferie, permesso o congedo, ha diritto a ricevere il pagamento per il lavoro svolto. Quindi si capisce che non può programmarsi con anticipo l’esatto ammontare del costo finale della voce “personale”. Ipotesi diversa, quando vengono aggiunte ore al modulo scolastico o di formazione professionale. Ma non siamo in questa ultima ipotesi.
Sempre per i malpensanti, preciso che io ho firmato un provvedimento riguardante corsi già svolti e rendicontati, dove quindi non si poteva più incidere minimamente sul personale o altro.
Ho emesso un provvedimento che era stato preceduto, da tutti i pareri favorevoli di tutti i Dirigenti dell’Assessorato e dalla rendicontazione eseguita dagli enti di formazione in contraddittorio con i funzionari degli Ispettorati Provinciali del Lavoro.
Il Decreto Assessoriale da me firmato è stato emesso nell’ambito di un procedimento amministrativo, svolto correttamente senza saltare passaggi o aggiungerne di nuovi. Infatti, non sono stato accusato di avere seguito, svolto, applicato una procedura nuova, diversa ecc. e/o sbagliata. Quindi, la condanna non si fonda nemmeno su un errore nella procedura seguita. Né, come qualcuno ha detto, mi hanno orchestrato un tiro mancino i dirigenti o altri politici. Né ho seguito un cattivo consiglio. Questo assunto è smentito dal fatto che nello stesso giudizio ci sono anche coloro che mi avrebbero dovuto giocare il tiro mancino.
Inoltre, ove ciò fosse avvenuto, sarebbe sempre stata necessaria la partecipazione attiva della Magistratura contabile. Quindi, sgombriamo il campo da complottismi e concentriamoci sul dato fattuale: “ E’ un caso di MALA-GIUSTIZIA”.
Le sentenze, di primo e secondo grado, dicono che la concessione di somme dopo la programmazione originaria era sbagliata e che vigeva il principio assoluto della non incrementabilità della somma originariamente stabilita.
Esse si sono aggrappate ad una circolare scritta male, voluta probabilmente per creare ostacoli e non per semplificare il settore: la circolare 6/2004.
La Corte dei Conti, con la sentenza che mi riguarda e con quella precedente con la quale è stato condannato, fra gli altri, l’Assessore Mario Centorrino, ha mutato, nei fatti, l’ interpretazione e l’applicazione della circolare 6/2004. Essa fino al 2012, cioè dal 1976 e fino a tre anni dopo da quando sono stato assessore regionale, era stata sempre applicata in linea con il complesso ed articolato quadro normativo del settore, tanto è vero che le integrazioni se documentate dalla rendicontazione venivano regolarmente riconosciute ed approvate,non finirò mai di ripeterlo,anche dalla Sezione di Controllo della Corte dei Conti.
Differente era il punto di partenza dell’iter logico giuridico seguito fino alla sentenza cosiddetta Centorrino, emessa appunto nel 2012.
Secondo la Costituzione, la formazione è di competenza dello Stato e delle Regioni che possono delegarla ad organismi esterni alla P.A. anche privati. La natura del rapporto giuridico, tra enti di formazione e Regione Siciliana (in linea col resto d’Italia), era pacificamente considerata “ concessione di pubblico servizio “ e non appalto di servizi. In buona sostanza cioè, gli enti di formazione erano dei concessionari di cui la Regione si avvaleva per svolgere un compito a cui era ed è tuttora tenuta. Infatti, gli enti in questione erano in questa condizione: svolgevano, quali concessionari inseriti nel cosiddetto elenco degli enti accreditati, il servizio della programmazione e svolgimento dei corsi formativi previsti nel P.R.O.F, in nome proprio ma nell’interesse della Regione che rimane(va) titolare del potere-dovere di provvedere alla Formazione Professionale dei cittadini. Questa tipologia di rapporto, ribadisco subito per i soliti affetti da pregiudizio, è stata applicata da Bolzano a Palermo. Fino alle sentenze della Corte dei conti, che qui pubblico, era, quindi, chiaro che il costo del personale, non perfettamente programmabile e sostenuto in forza ed in virtù di un rapporto giuridico tra le Regioni e gli enti di formazione sussumibile nel cosiddetto rapporto di “concessione di pubblico servizio”, era tutto a carico della Regione, così come peraltro affermato anche dalla Corte di Cassazione. [Sì, avete letto bene: anche la Corte di Cassazione aveva avuto modo di affermare l’obbligo della Regione Siciliana di accollarsi i costi del personale Cass. civ. Sez. Unite 22-01-2002 n. 715]
Un principio di buon senso, prima ancora che giuridico, vuole che, se qualcuno svolge un lavoro nell’ interesse di qualcun altro, deve essere indennizzato anzitutto di tutte le spese del personale.
Il provvedimento emesso si fondava, quindi, su principi e regole condivise da oltre trent’anni dalla Pubblica Amministrazione, dai Giudici Ordinari, compresa la Cassazione, dal CGA che aveva emesso uno specifico parere, e ( aprite occhi ed orecchie) dagli stessi Giudici della Corte dei Conti che non avevano manifestato tale loro pensiero in un corridoio o sotto l’ombrellone bensì nel pieno svolgimento della loro funzione, attraverso la Sezione di Controllo della Corte dei Conti medesima (cioè siciliana).
Fino al Dicembre 2006, appena due anni e quattro mesi prima del provvedimento da me emesso ( 7 aprile 2009), tutti i provvedimenti concessori di somme ulteriori a copertura dei costi del personale, per i quali era stato chiesto il visto di legittimità, erano stati regolarmente ammessi al “ VISTO DI LEGITTIMITA’” della Sezione di Controllo della Corte dei conti e tutti riportavano tra le fonti che giustificavano l’emissione del provvedimento medesimo la circolare 6/2004.
Il principio della incrementabilità dei fondi originariamente concessi era stato cioè formalmente ammesso, riconosciuto ecc. ecc. dalla stessa Corte dei conti nella sua funzione di controllo della spesa pubblica.
Eppure io e gli altri chiamati in giudizio, ad eccezione di uno solo (l’ex presidente Lombardo), siamo stati condannati.
I Giudici della Sezione di Controllo della Corte dei conti siciliana, che avevano VISTATO i precedenti provvedimenti per i quali era stato chiesto il parere di legittimità, non sono stati sfiorati da alcuna azione. Anzi gli anni, in cui la Sezione di Controllo della Corte dei conti ha emesso i Visti di Legittimità, non sono stati oggetto di alcuna indagine e/o azione giudiziaria neppure a carico dei Dirigenti ed Assessori pro tempore. Il principio di buon senso, sopra detto, è stato nel mio caso incriminato, viceversa, per gli anni 2005 e 2006 ignorato. Dirigenti, Assessori e Magistrati che avevano a vario titolo emesso e/o avallato l’erogazione di somme con la stessa motivazione, cioè a copertura dei maggiori costi del personale, riscontrati a seguito di rendicontazione, non sono stati sfiorati da alcun Giudizio Contabile.
La circostanza che la Sezione di Controllo avesse ammesso al Visto di legittimità tutti i provvedimenti di erogazione delle integrazioni, che le erano stati sottoposti perché attingenti al FSE e non alla finanza regionale come quello mio e gli altri incriminati, è particolarmente importante. Anzitutto da essa si deduce che il principio della incrementabilità era già condiviso anche dall’UE. Infatti ogni provvedimento di spesa veniva (tutt’ora é cosí) poi sottoposto al vaglio dell’UE attraverso l’attività di rendicontazione della spesa a cui è tenuta la Regione Siciliana nei confronti della UE. In secondo luogo il Visto di legittimità, come ha chiarito definitivamente il combinato disposto dell’art. 69 comma 2 ed il comma 4 dell’art. 95 del D.Lgs. 174/2016 (sul punto Vedi per tutti “ La Nuova Corte dei Conti a cura di Vito Tenore – Giuffrè Editore – 2018 4 ^ edizione – pagg. 365-382), fa venire meno l’elemento psicologico della colpa grave.
La legge vuole, infatti, per la dichiarazione da parte del Giudice della responsabilità, la sussistenza tra gli altri, come sopra evidenziato, di due elementi per l’affermazione della responsabilità amministrativa; uno oggettivo: la illegittimità dell’atto incriminato; l’altro soggettivo: la colpa grave.
La mancanza di uno degli elementi strutturali non consente (o non dovrebbe consentire) l’affermazione della responsabilità amministrativa.
La Giurisprudenza Contabile ( ad eccezione di quella siciliana nel mio caso) Penale e Civile, che ha affrontato il tema della sussistenza della colpa grave in capo all’agente che compie un atto e/o un’azione rilevante ai fini della dichiarazione delle rispettive responsabilità, ha unanimemente ritenuto che la colpa grave non è riscontrabile quando l’agente si uniforma ad un orientamento giurisprudenziale ancorché esso non sia univoco. Nel mio caso ci siamo (io e gli altri chiamati in giudizio) uniformati all’unico orientamento presente nell’ordinamento giuridico. Infatti, al momento in cui ho firmato il provvedimento in questione, non esisteva alcun parere, sentenza, orientamento dottrinario o giudiziario che lo ritenesse illegittimo anzi, al contrario, era condiviso unanimemente da tutti gli organi istituzionalmente chiamati ad esprimere un parere. Addirittura, la Corte dei conti di Palermo, quando era stata chiamata a pronunciarsi, aveva sempre riconosciuto la legittimità ammettendo al visto tutti, dico tutti, i provvedimenti di concessione di quelli che ora sono definiti “ extra budget”. Eppure per ragioni ancora oscure, ma che con l’aiuto di Dio (presto o tardi) spero emergeranno, sono stato condannato ingiustamente, perché se, mai, il provvedimento potesse essere considerato illegittimo, certamente non poteva essere affermato l’elemento psicologico della colpa grave e di conseguenza la responsabilità amministrativa. Io ho firmato proprio perché ho letto i provvedimenti ammessi al visto di legittimità della Corte dei Conti. Mi sono cioè fidato ed affidato alla competenza giuridica dei Magistrati. Quindi non sono mai stato in colpa nel firmare quel provvedimento.
L’unica colpa la sento nei confronti della mia famiglia ed in particolare di mia moglie e dei miei figli perché, nel fare quello che ho ritenuto il mio dovere, e cioè di pagare quanto dovuto, a chi aveva lavorato in quei corsi, in forza dei diritti conquistati dai lavoratori dipendenti a seguito di battaglie e sacrifici di uomini e donne coraggiosi, ho prodotto per me e per loro ( mia moglie e miei figli) incertezza, impoverimento, dispiaceri, mutamento delle condizioni di vita generali, relazionali, sociali ecc. ecc., e additamenti.
Lo so che chi legge, specie in Italia, pensa che non è possibile che quello che io sto dicendo sia la verità. Si è portati a pensare che i Magistrati sono “GIUSTI” per definizione. Essi però non sono tutti santi! Tra di loro la stragrandissima maggioranza è certamente composta di persone che ogni giorno svolgono il loro lavoro ed esercitano la loro funzione col massimo rispetto del principio di legalità e con alto senso del dovere, ma, accanto a loro, vi sono anche quelli che travisano, o nella migliore delle ipotesi travalicano, ruolo e funzione, come anche i recenti fatti accaduti in seno al CSM hanno raccontato.
Il concorso di ammissione alla carriera di Magistrato non certifica (per semplificare) la purezza etica e morale dei soggetti vincitori e soprattutto non garantisce la loro aderenza alla missione di applicare la legge senza farsi tentare di sostituirsi ad essa. Attesta semmai, più semplicemente che, rispetto ai candidati che hanno partecipato al medesimo concorso ed alla media generale dei partecipanti, quelli che lo superano hanno una migliore e più approfondita conoscenza delle norme e degli istituti che compongono l’ “ORDINAMENTO GIURIDICO”. Quindi non è impossibile che Magistrati si discostino dal corretto esercizio dell’immenso potere che hanno.
La Storia è costellata da una infinità di sentenze ingiuste. Per chiudere su questo punto voglio ricordare la sentenza più famosa della Storia: Ponzio Pilato, che era un alto Magistrato romano, affidò al Popolo il verdetto; anziché amministrare Giustizia ed assolvere Gesu’ Cristo accontentò la voglia di sangue del Popolo e rinsaldò l’alleanza con chi lo temeva. Si tratta cioè del più chiaro ed evidente esempio di sentenza politica.